L’aurifex e l’importanza dell’arte orafa nel Ducato di Spoleto.

Alla scoperta della società longobarda in Italia e nel Ducato di Spoleto tra VI e VIII secolo

Tra le antiche tradizioni artigiane spoletine quella dell’orafo costituisce un’eccellenza assoluta. Oggi parliamo del ruolo che ebbe l’aurifex (l’artigiano dell’oro) nella società longobarda in Italia e nel Ducato di Spoleto tra VI e VIII secolo e delle sue preziose creazioni.

Artigiani altamente specializzati nella lavorazione di metalli non ferrosi arrivarono a ricoprire un ruolo sociale ed economico molto rilevante nella società longobarda ed è proprio l’oreficeria longobarda a costituire un’importante testimonianza dell’arte di questo popolo.

Più complessa era la forma del monile, più alto era il grado sociale di chi lo indossava.

La nobiltà longobarda femminile vestiva abiti di broccato, arricchiti da gioielli tradizionali come le collane e le spille, dette fibule. Le tipologie più ricorrenti di fibule erano quelle “a esse” e quelle “a staffa”.

Le fibule a “S” rappresentavano, in chiave stilizzata, un animale bicefalo con un sinuoso corpo nastriforme ed erano realizzate in oro o argento dorato e pietre dure.

Altra tipologia ricorrente era la fibula “ad aquilotto”, che veniva lavorata con oro e pietre semi-preziose e raffigurava infatti una piccola aquila. Questi gioielli si trovavano spesso a coppie e avevano lo scopo di allacciare le vesti o fermare il mantello all’altezza delle spalle.

Le fibule a “staffa”, spesso d’argento, erano solitamente composte da motivi astratti incisi, derivati dal mondo animale. Tale gioiello era puntato su nastri che scendevano dalla cintura. Ben presto i corredi delle donne longobarde tendono a semplificarsi a seguito del contatto con la cultura tardo-romana che trovarono in Italia.

Accanto agli accessori tipici della tradizione pannonica come le fibule appena descritte, e a elementi d’uso quotidiano come pettini, coltellini e borse, fecero la loro comparsa gioielli copiati dal costume delle donne indigene: orecchini pendenti, collane in oro e pietre semipreziose, fibule a “disco”. Queste ultime a seguito dell’influenza romano-bizantina sostituiranno le fibule a ‘S’.

Peculiarità delle collane era la “polimatericità”: i vaghi che le costituivano potevano essere in pasta di vetro, cristallo, ambra, corallo, di perle, di ametiste e altre pietre dure; potevano poi essere arricchite con pendagli d’oro, d’argento o di bronzo e a volte persino vecchie monetine romane forate.

La pasta di vetro era il materiale primario nei monili ed era apprezzato perché conferiva un’accentuata policromia, caratteristica fondamentale e costante della gioielleria longobarda che si ritrova anche nelle spille o negli orecchini grazie alla presenza di gemme diverse dai colori molteplici.

Nel febbraio 1897, nei pressi del Comune di Nocera Umbra e a seguito di lavori agricoli, vennero alla luce molte sepolture longobarde considerate una delle principali scoperte dell’archeologia altomedievale italiana.

Tra le 165 tombe esplorate sono stati rinvenuti corredi di eccezionale valore che testimoniano l’elevata maestria degli orafi del Ducato di Spoleto, al quale l’insediamento di Nocera Umbra faceva capo. Dal 2007 alcuni di essi sono esposti al Museo Nazionale del Ducato di Spoleto.

Nella galleria fotografica ne proponiamo alcuni. Non dite che non li indossereste!

Cloisonné, punzonatura, filigrana, queste sono solo alcune delle tecniche impiegate dai Longobardi, ma di questo, ne parleremo nel prossimo articolo.

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