Sono verosimilmente tra le prime testimonianze fotografiche esistenti di Spoleto di cui si è a conoscenza: una serie di affascinanti istantanee – 16 per l’esattezza – che immortalano, alla fine dell’Ottocento, la nostra città e di cui restituiscono, nello ‘splendore del vero’, i principali monumenti e scorci. Una vera e propria archeologia dell’immagine, intesa come riproduzione fedele e oggettiva della realtà.
Le foto sono raccolte in un prezioso cimelio, una donazione di Giorgio Lucarini ora conservata alla biblioteca Carducci. Si tratta di un album di piccole dimensioni, dal titolo ‘Ricordo di Spoleto’, che è senza data ma ha l’aria di essere dell’ultimi due decenni del XIX secolo e che porta la firma di Raffaele Canè, uno dei primi professionisti della fotografia, un’arte che proprio in quegli anni cominciava a conoscere vasta e popolare diffusione.
Canè proveniva da un famiglia di fotografi, due suoi fratelli esercitarono in molte città, come Ravenna, Firenze, Arezzo, Roma, Foligno. Raffaele aveva uno studio a Spoleto, in Corso Vittorio Emanuele (l’attuale Corso Mazzini), precisamente in vicolo IV, come specificato in un suo biglietto da visita. Nel 1896, l’epoca in cui era sindaco in città l’avvocato Tito Sinibaldi, l’Annuario d’Italia, ovvero la Guida Generale del Regno che elenca i professionisti e i rappresentanti delle varie associazioni di categoria, lo include, insieme a Domenico Bona, tra i fotografi che operavano nel circondario di Spoleto.
Un colpo d’occhio veloce gettato su alcune di queste foto ci fa vedere una città ancora in qualche modo sovrapponibile a quella attuale.
Certo cambiano molti particolari e le atmosfere denunciano inesorabilmente il passare del tempo, ma l’impressione d’insieme che ci danno gli scatti di Corso Garibaldi, Porta Fuga, la Cattedrale (però con Piazza Duomo ancora senza una vera e propria scalinata), Corso Vittorio Emanuele, Palazzo Ancaiani, la Rocca, il Ponte (definito l‘acquedotto), via della Passeggiata (l’attuale viale Matteotti allora senza alberature), l’Anfiteatro, via del Duomo, via delle Felici, via Monterone, piazza del Mercato rimandano immagini e impressioni familiari.
Lo stesso non si può dire di altre fotografie che invece provocano qualcosa tra il sussulto e lo stupore: la prospettiva di via Arco di Druso è molto diversa (ci sono ancora il campanile e il piccolo portico del complesso di Sant’Ansano, demoliti alla fine degli anni ’50 per ripristinare parte di un tempio romano e non era stato ancora riportato alla luce il piano di calpestio dell’originaria pavimentazione di epoca romana su cui poggia uno dei piloni dell’arco); sono ancora immersi in una atmosfera totalmente campestre i cosiddetti giardini pubblici che si riconoscono solo per la presenza della cosiddetta ‘casina dell’ippocastano’, mentre la foto di Porta San Gregorio – principale ingresso a nord della città, collegata con un diverticolo della Flaminia – produce un vero e proprio cortocircuito temporale, mostrandoci qualcosa che è profondamente diverso dall’attuale Porta Garibaldi. Stretta, ad un solo fornice, la porta, distrutta durante la seconda guerra mondiale, era a quel tempo conosciuta come porta leonina perché fatta edificare da Papa Leone XII intorno agli anni venti dell’Ottocento, rimpiazzando la turrita porta medievale che si può scorgere invece negli schizzi del Turner.
ARCHIVIO NEWS
- Le guide turistiche di Spoleto #2 | 22 maggio 2020
- Le guide turistiche di Spoleto | 15 maggio 2020
- Pietro Mascagni: il concerto al Teatro Nuovo | 8 maggio 2020
- La funivia Spoleto-Monteluco | 1 maggio 2020
- Due giorni di aviazione a Spoleto | 24 aprile 2020