L’inaugurazione della mostra di Andrea Pacanowski, avrà luogo SABATO 30 GIUGNO alle ore 12:00 a Spoleto presso Palazzo Collicola Arti Visive.
La mostra, a cura di Gianluca Marziani, è inserita nel programma ufficiale del Festival dei Due Mondi. La conferenza stampa è in calendario alle ore 11:00 nella Galleria museale del Piano Nobile.
Chi non si è cimentato, almeno una volta, con un puzzle da centinaia di tasselli? Ricorderete le immagini che di solito compongono il mosaico: vincono i paesaggi a campo lungo e le visioni panoramiche in genere, con una quota maggiore per le nature incontaminate, gli spot culturali e le folle umane. Il puzzle racchiude, involontariamente, il senso dell’immagine odierna: la disintegrazione di un ordine da riassemblare somiglia ai passaggi tra analogico e digitale, ai trasferimenti tra device e stampa, ai legami tra alta e bassa definizione… la natura analogica del puzzle tocca il close-up e le profondità di campo, le staffette tonali tra zone di colore, fino ad integrare il glitch (l’errore di posizione del tassello) come ulteriore possibilità esplorativa.
Andrea Pacanowski presenta a Spoleto una quindicina di lavori fotografici. All’infuori di me raccoglie masse umane, corpi in ordine militaresco, gente in uniforme, gruppi rituali. Sono pattern collettivi che provengono, in particolare, dal consesso religioso in esterni, dai luoghi d’aggregazione dei culti monoteistici più diffusi. Le foto racchiudono tasselli d’umanità in un telaio geografico che gioca con l’astrazione pittorica e le iconografie del web, creando un cortocircuito estetico di alta fattura, mantenendo la purezza dell’analogico come potenziale mimetico (simulare tecniche digitali attraverso il talento analogico è un passaggio nodale nella fotografia contemporanea). Quei corpi riguardano le inquietudini del nostro tempo, i confini della libertà, la necessità di una guida spirituale, la ricerca di condivisione… tutti temi di portata storica e pregnanza politica, centrali in un’epoca così narcisistica, narrati da Pacanowski con abilità estetica e intelligenza concettuale.
Una fotografia dal risultato pittorico, modulata per ritmi e griglie, dove il colore diviene struttura plastica, dove il ritmo comprime il dinamismo interno dell’immagine. Pacanowski, attraverso l’ambiguità ottica del puzzle, sfida il pubblico alla visione mobile in avanti e indietro, per definire la messa a fuoco, per sciogliere le ambiguità retiniche che le immagini contengono. Le opere sono puzzle fotografici che rompono diverse certezze su usi e abusi del digitale. Secondo l’autore ogni scatto è un viaggio unico dal senso analogico, un’immersione lenta che richiede conoscenza tecnica, invenzione, ribaltamento di regole in apparenza immobili. L’immagine finale è il risultato di riprese, combinazioni, luci di scena e altri trucchi che il nostro ha affinato nel contesto della Moda, il suo luogo d’origine professionale, spazio di crescita tecnica ma anche di perfezionismi robotici senza emozioni. Pacanowski sentiva il limite del set e della post-produzione, del digitale come dittatura patinata: ed eccolo sfidare la messinscena elettronica, preferendo i codici lenti di un habitus interiore, dove la pelle fotografata si tramuta in geografia complessa, dove colori e tonalità definiscono l’invisibile, dove graffiature e segni amplificano l’energia iconografica. Le sue azioni sono scie sonore che mappano le armonie sinuose, localizzano dettagli, ampliano i segnali emotivi dietro un corpo. La fotografia prende qui il ritmo lento del pennello, rivelando una qualità metafisica che ci conduce in un rituale misterioso, ascetico, fatalmente spirituale.
La mostra a Spoleto entra così nel cuore dei culti monoteisti: Cristianesimo, Ebraismo, Islam. Un viaggio fotografico che racconta le metodiche spontanee dei grandi raduni, secondo un approccio che coglie gli equilibri gravitazionali, le scale cromatiche, i ritmi sincretici, le armonie collettive. Un’analisi per mostrare il valore etico di ogni religione, la possibile convivenza tra diversità, l’importanza del dialogo come cardine di una rifondazione universale. La fotografia di Pacanowski ribadisce tutto ciò, e lo fa con un’energia estetica che rompe il giudizio di merito, annullando i termini di superiorità e inferiorità, i pericolosi personalismi, le manie estremiste. Qui si parla di armonia e libertà, di uomini e donne che camminano sullo stesso Pianeta, respirando lo stesso ossigeno, inseguendo gli stessi sogni, in cerca di quella cosa indistruttibile che ovunque si chiama Amore.
E’ la fotografia che riprende la sua essenza analogica ma con il meglio che la stampa e i supporti possano offrire. Non è un ritorno alle origini ma l’origine di una continuità possibile, è la resistenza del fattore umano che orchestra frammenti di bellezza universale. Una bellezza che ci parla di religioni e sincretismo, che entra nel cuore caldo del Pianeta da una porta di liberazione dei contenuti. Andrea Pacanowski ci invita nelle sue tessiture ritmate, nelle moltiplicazioni di ogni singola diversità, nel rumore cromatico di una visione che coinvolge ognuno di noi. Perché, come dice il titolo, all’infuori di me ci sono sempre tutti gli altri.
La mostra termina domenica 7 ottobre 2018
Info mostra: www.palazzocollicola.it https://www.facebook.com/PALAZZOCOLLICOLA
Contatti Palazzo Collicola: info@palazzocollicola.it
Contatti Sistema Museo: ufficiostampa@sistemamuseo.it
EUGENE LEMAY – GHOST WITNESS SHADOW
a cura di Gianluca Marziani
La mostra di EUGENE LEMAY sarà inaugurata SABATO 30 GIUGNO alle ore 12:00 a Spoleto presso Palazzo Collicola Arti Visive. La mostra, a cura di Gianluca Marziani, è inserita nel programma ufficiale del Festival dei Due Mondi.
La conferenza stampa è in calendario alle ore 11:00 nella Galleria museale del Piano Nobile.
Il Piano Nobile di Palazzo Collicola Arti Visive apre le sue quinte settecentesche per ospitare un nuovo progetto d’artista, disegnato in maniera “sartoriale” sul modello domestico delle stanze. L’approccio con Eugene Lemay segue le consuete regole di un inserimento morbido e inclusivo, ricreato con modi mimetici che si fondono nell’antico senza modifiche sostanziali.
Integrazione è la parola giusta per cogliere l’abbraccio tra la natura di un appartamento gentilizio e l’energia elettrica di un artista contemporaneo. Da una parte lo splendore opulento del luogo, dall’altra la potenza metaforica di Lemay, la sua critica sociale, la durezza monolitica delle opere. Il contrasto apparente si trasforma così in una fluida integrazione: ora la pienezza mai aggressiva del luogo, ora l’essenza espressiva di un’arte che aggredisce lo sguardo, caricando le stanze di un magnetismo invisibile ma denso.
Lo statunitense Eugene Lemay (1960, Grand Rapids, Michigan) torna in Italia dopo la personale romana al MACRO Mattatoio (a cura di Micol Di Veroli, febbraio – aprile 2015). Dimensions of Dialogue era il titolo di quella mostra, una frase che ben racchiude la coscienza etica di Lemay, la natura politica e militante del suo lavoro. Le opere a Palazzo Collicola sono le stazioni di un cammino nel dolore della guerra, nell’ipocrisia della politica, nella fobia e nel terrore che acceca, nelle ferite della carne e in quelle del cuore. L’artista americano conosce il rumore delle bombe, lo stridore delle armi letali, l’odore del sangue che scorre. A 13 anni si trasferì dal Michigan in Israele, passando l’adolescenza in un kibbutz, diventando poi un soldato volontario che ha impugnato le armi e combattuto per Israele. Un’esperienza durissima che ha segnato la sua vita di ebreo americano, plasmando il suo talento come fosse una tempesta che modella una montagna.
Ci sono vite normali che talvolta creano racconti straordinari. E poi ci sono vite straordinarie, senza approdi sicuri, che si sublimano in opere universali, destinate all’esperanto dello sguardo, alla dimensione collettiva dei valori naturali. Eugene Lemay si porta dentro lo straordinario di un’esistenza nomade, culturalmente feconda, impressionante per eventi e conseguenze. Una vita dentro la vita, talmente coinvolgente da trasformarsi in una spinta artistica, così da produrre conseguenze in forma di opere e messaggi visuali.
Gianluca Marziani: “Mi colpisce la doppia anima di alcune opere, la capacità che hanno di plasmarsi sui singoli habitat. Quando ho visto le installazioni nel gigantesco studio del New Jersey, ho pensato che respiravano in silenzio, dentro un ambiente neutro che le accettava senza conflitto. Una volta allestite a Spoleto, qualcosa in loro è completamente cambiato, adesso iniziavano una fase di respiro più rapido, come se sentissero un luogo anomalo e cercassero di adattarsi ad un habitat carico di memorie…”
Fantasmi, testimoni, ombre… sono loro che ci guidano idealmente lungo le stazioni del Piano Nobile, li sentiamo dentro i quadri, oltre le cornici, tra le finte bombe di un’installazione, dentro l’impasto pittorico, nei fondali monocromi delle superfici… Lemay attraversa il male dell’umanità con il passo metaforico dell’arte, evitando il ricatto del realismo, preferendo il passo sospeso dei riti allegorici, delle figure archetipiche, del nero che dissolve, del grigio che annebbia. Attraverso l’elaborazione digitale e l’esecuzione manuale si ricreano corpi e volti che sembrano nati dalla plastilina, dalla lana, dal vapore, dalla neve, dalla panna… sono ombre di carne, fantasmi solidi, testimoni silenti del male subìto… Corpi artici e nebulosi, simili ad orsi bianchi che abbracciano, si piegano, soffrono, cadono, si alzano in piedi… Corpi di soldati che potrebbero diventare tutto ciò che vorremmo fossero… Corpi che sono archetipi filosofici tra Platone e Nietzsche, talvolta neri come ombre nel buio della caverna, come soldati sotto il cielo senza stelle… Corpi che incarnano il dolore e la voglia di rinascita, divisi tra un male necessario e un bene ancor più necessario… corpi che sono fantasmi in cammino nel mondo, lenti ma elefantiaci nel passo pesante che calpesta le terre ferite… corpi che sembrano ombre solide, testimoni oculari del dolore collettivo… corpi che cercano la luce della notte, le stelle del giorno, l’orizzonte lontano degli eventi.
Gianluca Marziani: “Godot è arrivato tra noi assieme ai testimoni silenziosi di Lemay. La figura misteriosa di Samuel Beckett giunge tra i viventi, si confonde nella folla di fantasmi e ombre mute. Non si presenta a nessuno ma si capisce che è Godot, archetipo tra gli archetipi, testimone e giudice che guida gli umani sull’orlo dell’abisso, fermandosi poco prima della caduta. Davanti al vuoto ci riassume il male in un istante, carezzando la Terra che soffre, chiedendoci da che parte vogliamo andare… Perché il male ha raggiunto il culmine e oltre inizia il buco nero, l’antimateria dell’esistenza, la fine dell’ultimo finale di partita. Godot ci accompagna sul baratro e ci lascia guardare il vuoto infinito ma anche la luce dietro la schiena, la possibilità di un nuovo viaggio, di una rinascita plausibile. Ad ognuno di noi la scelta tra il buco nero e la luce, tra un lungo addio e un lunghissimo amore…”
Il progetto italiano di Eugene Lemay prevede una tappa successiva nel magnifico piano nobile del Museo RISO di Palermo, prestigiosa sede che amplierebbe le ragioni del dialogo tra memoria e presente, antichità e ragionamento contemporaneo. La direttrice del museo, Valeria Li Vigni, ha immaginato assieme a Marziani un viaggio speculare dentro due residenze che si sono trasformate in centri per l’arte del nostro tempo. Un incontro unico e spettacolare, corredato da un catalogo (edito dal RISO) che documenterà il valore visuale e tematico di questa splendida contaminazione.
La mostra termina domenica 7 ottobre 2018
Info mostra: www.palazzocollicola.it https://www.facebook.com/PALAZZOCOLLICOLA
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La mostra personale di Giorgio Ortona, sarà inaugurata SABATO 30 GIUGNO alle ore 12:00 a Spoleto presso Palazzo Collicola Arti Visive. La mostra, a cura di Gianluca Marziani, è inserita nel programma ufficiale del Festival dei Due Mondi.
La conferenza stampa è in calendario alle ore 11:00 nella Galleria museale del Piano Nobile.
La mostra è realizzata in collaborazione con Settantasette Gallery (MI).
Roma. Pigneto. Via Braccio da Montone: davanti a noi un edificio basso, al primo piano ecco lo studio di Giorgio Ortona, immerso in un quartiere che stigmatizza pregi e difetti di una città complessa, favolosa per evidenze ma decadente per attitudine; una metropoli che al Pigneto intreccia edilizia mista e creatività, nodo multietnico e vita notturna, proletariato e terziario tecnologico di nuova generazione. Da qui, tra Casilina e Prenestina, parte uno sguardo d’autore con la filosofia del drone: altezze a campo aperto per una visione concentrica e lenticolare della Roma moderna, palazzinara, commerciale, dissonante, cementizia, popolosa…
Giorgio Ortona dipinge non solo ciò che vede ma ciò che gli occhi odorano, ciò che le orecchie assaggiano, ciò che la bocca ascolta… un’apparente contraddizione dei sensi, specchio veritiero di un pennello che il contrasto semantico lo risolve al suo interno: pittura sporca eppure chirurgica, brulicante ma asciutta, realistica e al contempo mentale. Una pittura di contrasti sanati, dove lo stesso telaio di legno grezzo, pur imitando il pallet da cantiere, si trasforma in un distanziatore dalla perfetta calibratura. Una contraddizione che si risolve anche nei fondali: si intravedono linee, numeri e tacche che palesano la natura architettonica della tavola, come se il fondo fosse la cellulosa su cui l’autore progetta le visioni. Qui esce fuori l’anima d’architetto, il passato universitario e la disposizione mentale; emerge l’angolo di sguardo che certifica un imprinting ma anche il suo cortocircuito per merito di un linguaggio, la pittura, che ridefinisce il sentimento profondo dell’architettare.
La pittura è l’architettura abitabile degli spazi interiori
La Roma di Giorgio Ortona diventa matrice e codice genetico, genoma figurativo che attraversa molteplici luoghi di ambito novecentista. Non pensiate, però, alla solita Capitale da periferia disfatta; qui, al contrario, si raccontano la bella edilizia popolare anni Sessanta, certe facciate umbertine tra Esquilino e Colle Oppio, alcuni capolavori residenziali in Prati e San Giovanni, tanti palazzi monolitici che ben s’inseriscono nel contesto urbano, spesso tra tangenziali a serpente, sopraelevate, raccordi e strisce d’asfalto. Ortona mappa l’urbe capitolina tra tetti e antenne, balconi e verde pubblico, crea geografie di cemento armato, esalta il cantiere con il corredo d’impalcature e gru svettanti… verrebbe da dire: da tempo Roma non era così “romana” in un quadro; viene da aggiungere: una Roma tanto minuziosa da rendersi universale, archetipo di qualsiasi luogo cresciuto per incroci meticci, scambi culturali, energia collettiva, potere politico e investimento economico.
La Roma di Ortona è anche la città dei volti amati, dei corpi affini, degli oggetti sensibili che catturano la sua fiducia emotiva. E’ un mondo di affetti e sensazioni vive, un legame vigile con la prosa del quotidiano: la città al di fuori, le persone e gli oggetti negli appartamenti, sui terrazzi, davanti ad una porta, dentro un negozio, in piedi per strada, dovunque il corpo, un cibo o un oggetto siano integrazioni biologiche della città pulsante. Lo stesso autoritratto, oggi esposto con alcune varianti, coinvolge magliette o giubbotti che l’autore, dileguatosi nel bianco pittorico, indossava al momento della foto, offrendoci così un ritratto per assenze, per evocazioni urbane, per rumori di fondo.
L’immaginario urbano di Ortona nasce dall’alto, attraverso le immagini panoramiche di Google Earth. Da qui la creazione di una griglia pittorica in cui il realismo si affianca alle cancellature di colore, alle assenze evocate, alle dissolvenze improvvise. Scompaiono le zone che non meritavano celebrazione, che stridevano nel contesto, che inquinavano l’occhio architettonico di Ortona. Assenze solo apparenti che si trasformano in fasce di colore, richiamando Nicolas De Staël e Alberto Burri, elettrificando la pittura con volumi astratti, tanto plastici da fondersi con la città reale.
Ad accompagnare i quadri ci sarà Storie di Pittura, un video che racconta l’artista nei suoi spazi di vita e lavoro. Un’appendice che tira le somme narrative di un viaggio unico nella città che non dorme, nei quartieri ad alta temperatura umana, nei mondi privati di un artista che architetta, giorno per giorno, le sue stanze interiori. Il video è stato realizzato da Sintesi Visiva.
Come direbbe qualcuno che passeggia per il Pigneto: “Davvero FICO sto quadro de Ortona…”
F.I.C.O. ovvero, Feticci Individui Case Oggetti
www.giorgioortona.com
La mostra termina domenica 7 ottobre 2018
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L’inaugurazione della mostra di Roberta Pizzorno è prevista per SABATO 30 GIUGNO alle ore 12:00 a Spoleto presso Palazzo Collicola Arti Visive.
La mostra è inserita nel programma ufficiale del Festival dei Due Mondi.
La conferenza stampa è in calendario alle ore 11:00 nella Galleria museale del Piano Nobile.
Roberta Pizzorno porta a Spoleto gli esiti figurativi di un lungo lavoro con la china e l’acquerello. Da due anni l’artista ha scelto Spoleto come territorio di residenza, alimentando un legame virtuoso con Palazzo Collicola Arti Visive. Assieme al museo sono nati diversi progetti, in particolare con il gruppo di Sistema Museo che ha integrato certe metodologie del disegno nei diversi workshop didattici. La mostra odierna si offre come un resoconto in progress, una sintesi che trova nella sala di Sten & Lex un ideale laboratorio espositivo.
Il punto: la partenza di ogni cosa, il fattore primigenio, l’inizio del viaggio conoscitivo. Punto come prologo e primo capitolo dell’esistente, istante sospeso in cui ogni forma è possibile, ogni libertà pronta per i liberi, ogni bellezza potenzialmente disponibile.
…il micromondo cellulare, il gigantismo cosmico, la natura vegetale, il mondo animale…
Punto, linea e curva definiscono le filiazioni interiori della Pizzorno, la sua cosmogonia intima, il suo spazio di coscienza estetica. Il gesto, disciplinato e quotidiano, agisce per linee e curve, creando bioforme volanti, volumi gassosi, solidi senza peso apparente. La china e l’acquerello si dividono il processo esecutivo e ricreano due mondi paralleli ma dialoganti, uniti da una gestualità che fa da ponte tra le anime formali.
Il punto, similmente ad una cellula, inizia a sentire i rumori del Pianeta, registra suoni chiari e scie subliminali, cerca il punto prossimo per definire la catena narrativa della linea, dello scivolamento in avanti, del dialogo che non si ferma ma ricrea le frasi del nostro sogno cosciente.
Affrontare la linea, ovvero, il cammino della forma, lo sviluppo di un’idea nel suo scheletro necessario.
La linea come ambizione di conoscenza, ricerca del margine aperto, avventura nel mistero pulsante del futuro. Una linea che viaggia sempre in avanti, seguendo il movimento della mano e l’occhio dei sentimenti. La linea come coscienza vigile del progresso.
…direzioni del bianconero essenziale, ritmi armonici, direzioni del colore oltre l’essenza…
Quella linea morbida conferma la limpidezza di uno sguardo pacificato, libero da catene mondane e lacci sociali. Pizzorno esce dalle apparenze del reale per costruire soggetti visivi che volano nel raggio gravitazionale del fantastico. Sono embrioni complessi dove umano, animale e vegetale appartengono alla medesima coscienza biologica. La metamorfosi pulsante diviene la ragione genetica dei suoi amabili corpi, l’armonia del dialogo guida la ritualità del gesto continuo. Sono forme che producono meraviglia…
La nostra artista pratica l’armonia e l’equilibrio come fosse un rito respiratorio. Senti che i suoi progetti non hanno nodi o protusioni, al contrario appaiono fluidi e musicali, purissima entropia in forma raccolta. L’opera si trasforma in un continuo autoritrarsi per frammenti emotivi, un diariogramma che si distende lungo le curve rituali della vita. Punto, linea e curva rendono il gesto una specie di respirazione continua e consapevole, così simile al contrarsi ed espandersi dell’universo.
Affrontare la curva, ovvero, la forma nella sua complessità, verso il senso che definisce un progetto.
La curva come planimetria dell’intuizione, un sismografo cosmico e interiore che disegna il cortocircuito, le convivenze, l’armonia finale. Una curva che parla di evoluzioni, sinestesie, bellezza. Angoli morbidi che camminano attraverso la china per poi librarsi in aria attraverso l’acquerello,
…disegnare per capire, finché l’occhio ricomincia a vedere…
Voglio pensare che i corpi volanti dell’artista siano occhi cosmici che racchiudono le formule segrete delle emozioni, dei sentimenti, della bellezza limpida, della chiarezza conoscitiva. Corpi d’inchiostro vivo, scuri per incidersi come solchi sensibili, maestosi nella loro eterea pienezza. Corpi fatti di china, corpi di un italianissimo e geolocalizzabile made in china. Corpi fatti anche di liquido acquerello, membrane gestaltiche di un privato ed emozionante made in herself.
La mostra termina domenica 7 ottobre 2018
Info mostra: www.palazzocollicola.it https://www.facebook.com/PALAZZOCOLLICOLA
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L’inaugurazione della mostra del duo TTOZOI, avrà luogo SABATO 30 GIUGNO alle ore 16:00 a Spoleto presso la CASA ROMANA. La mostra, a cura di Gianluca Marziani, è inserita nel programma ufficiale del Festival dei Due Mondi. La conferenza stampa è in calendario alle ore 11:00 presso Palazzo Collicola Arti Visive.
GENIUS LOCI, ideato da Stefano Forgione e Giuseppe Rossi, sotto la cura di Gianluca Marziani, nasce dall’idea di realizzare opere d’arte direttamente nei luoghi storici prescelti, attraverso l’originale tecnica della proliferazione naturale di muffe su juta, con interventi pittorici successivi.
Gianluca Marziani: La muffa diventa puro codice linguistico, un applicativo biologico che conduce la pittura al punto limite delle sue possibili mutazioni. La grammatica dei TTOZOI rigenera i modelli archetipici di Calzolari e Penone, riportando l’orbita iconografica nei perimetri evolutivi del quadro. L’azione naturale non si disperde ma avviene su superfici circoscritte, sotto il controllo dello spazio d’azione. Un evento tra casualità e controllo che radicalizza il legame tra Arte e Natura, rendendo la biologia un fenomeno elaborativo e partecipativo. Una dialettica viva che porta il fattore creativo nel cuore pulsante del ciclo naturale…
Il “concettualismo naturalmente informale” o “l’informale naturalmente assoluto” che è alla base dell’operato di TTOZOI, evolve il suo naturale processo creativo, ponendosi a contatto con tre siti Unesco, simboli universali della cultura architettonica e archeologica italiana: la REGGIA DI CASERTA (novembre 2017) con la sua necropoli sannita databile IV sec a.C., riportata alla luce nel 1990 nell’area sottostante il secondo cortile; l’ANFITEATRO DEL COMPLESSO ARCHEOLOGICO DI POMPEI (dicembre 2017) dove il duo ha utilizzato gli ambulacri, sepolti dall’eruzione del Vesuvio del 79 e poi riportati alla luce; infine il COLOSSEO (prossimamente), il più grande anfiteatro del mondo, simbolo globale di Roma ed icona d’Italia. All’interno di questo processo che diventa fusione molecolare e concettuale, giunge la mostra alla CASA ROMANA di Spoleto, sorta di spin-off espositivo che inserisce una residenza privata tra le tre tappe monumentali.
Gianluca Marziani: Le tre aree prescelte rappresentano l’apoteosi del genio italico, la vetta archeologica di antichi lustri dell’umano ingegno. Dentro questo ciclo monumentale serviva un passaggio di raccoglimento, una dimensione intima del processo naturale. Un adattamento domestico che riportasse le opere nello spazio del ciclo domestico, dove la memoria storica si aggancia al disegno degli habitat moderni…
La Casa Romana di Spoleto, datata all’inizio del I secolo d.C., è un’abitazione signorile scoperta dall’archeologo spoletino Giuseppe Sordini negli anni 1885-1886 e scavata a più riprese fino al 1914. Si trova in parte sotto la piazza del Municipio e in parte sotto il Palazzo Comunale di cui occupa le fondamenta. Ad oggi rappresenta il sito più frequentato dal turismo che giunge a Spoleto nel corso dell’anno solare.
A Spoleto si vedrà una rigorosa selezione tra le opere delle prime due tappe, oltre ad un progetto di proliferazione site specific, pensato per l’impluvio della Casa Romana. Una quindicina di opere che verranno inserite con ragione mimetica e rispetto ambientale, quasi a fondere la natura viva della pietra con la natura controllata delle muffe naturali.
Gianluca Marziani: L’integrazione coi luoghi avviene per proliferazione ramificata. Non più qualcosa di puramente formale ma un processo che integra visibile e invisibile, memoria e presente, storia e cronaca, individui e collettività…
Nelle prime due tappe gli artisti hanno creato le opere in situ, installando alcune teche sigillate all’interno delle quali le tele sono restate per circa 40 giorni: il Tempo e la Natura hanno fatto il resto. Durante la gestazione è la tela che cattura l’humus, l’anima di ogni luogo, andando oltre il visibile, permettendo di trasferirvi la memoria del “contenitore” culturale mediante due fattori: il “condizionamento emotivo” e il “condizionamento ambientale”, in grado di evocare nella mente dell’osservatore la storia e le suggestioni dei luoghi prescelti.
Il processo informale, realizzato a quattro mani, prevede l’utilizzo di materie organiche (farine varie), acqua e pigmenti naturali su tele di juta, poi riposte in particolari teche che favoriscono la naturale proliferazione di muffe, con manifestazioni sempre diverse; nutrendosi della sola parte organica, le spore interagiranno con l’opera secondo uno schema ignoto ed apparentemente caotico. In realtà TTOZOI monitora la progressione del processo, fin quando deciderà di interromperlo, secondo una declinazione di “salvataggio dall’estetica in purezza”. Solo a questo punto le tele verranno pittoricamente rifinite ed ultimate, lasciando visibili le tracce del passaggio della natura.
Gianluca Marziani: La pittura di radice informale trova la sua evoluzione più significativa, un approdo estetico che stravolge il fattore interpretativo delle opere. Tutte le apparenze astratte si trasformano in un processo ad alta valenza figurativa, dove ciò che vediamo ci conduce ben oltre la pura forma, nella stratificazione pittorica di memorie, esperienze, processi dinamici, contributi esogeni…
Giovedì 19 luglio 2018 è prevista una personale all’interno della Reggia di Caserta. Una mostra di chiusura si terrà, infine, in una prestigiosa sede museale capitolina, così da esporre tutte le opere realizzate nei tre complessi monumentali. A Caserta verrà esposto il ciclo completo che è stato realizzato nei mesi di proliferazione dentro la necropoli sannita.
TTOZOI_Biografia
Stefano Forgione (Avellino, 1969) e Giuseppe Rossi (Napoli, 1972) sono il duo artistico operante con lo pseudonimo TTOZOI dal 2010, anno della personale a Napoli presso Castel Dell’Ovo (a cura di Luca Beatrice). Stefano (Laurea in Architettura) e Giuseppe (Laurea in Economia) sono entrambi autodidatti. Fin dall’adolescenza sperimentano varie tecniche artistiche (carboncino, china, acquerello, acrilico, olio, spray, collage…) e si avvicinano alla Storia dell’Arte per approfondire la cultura Informale, assecondando la loro vocazione estetica e concettuale. Nel dicembre 2006 sarà la comune passione per i temi informali a riavvicinare i due, dopo anni vissuti in varie città d’Italia. Al centro del loro confronto c’è la consapevolezza che “l’Arte sia sempre stata Contemporanea” e che “l’Artista non può operare prescindendo dal passato”: da qui l’elaborazione di un progetto – basato su “concetto” e “forma”, “tempo” e “materia” – che sta diventando portavoce di una piccola rivoluzione nel campo sperimentale della pittura. TTOZOI è artefice del cosiddetto “vuoto d’intervento”, una vera e propria attesa, successiva all’azione simultanea a quattro mani sulla tela.
La mostra termina domenica 7 ottobre 2018
Info mostra: www.palazzocollicola.it https://www.facebook.com/PALAZZOCOLLICOLA
Contatti Palazzo Collicola: info@palazzocollicola.it
Contatti Sistema Museo: ufficiostampa@sistemamuseo.it
L’inaugurazione della mostra di YIGAL OZERI è prevista per SABATO 30 GIUGNO alle ore 12:00 a Spoleto presso Palazzo Collicola Arti Visive.
La mostra, a cura di Gianluca Marziani, è inserita nel programma ufficiale del Festival dei Due Mondi.
La conferenza stampa è in calendario alle ore 11:00 nella Galleria museale del Piano Nobile.
La pittura sta definendo nuove relazioni coi media tecnologici, confermandosi il più attrattivo, assorbente e intenso codice visuale del nuovo millennio. Passano i secoli, scorre il progresso ma non cambia l’idea che la pittura incarni una solida permanenza, un linguaggio densamente biologico, detonatore di metafisiche resistenti e simboli tramandabili. Sono molteplici i dialoghi che la pittura intrattiene con il mondo fotografico: un binomio virtuoso per codificare un’estetica transmediale, specchio metaforico di un presente ad alta consumazione visiva. In un periodo storico di revisione linguistica, era naturale che il codice fotorealista riprendesse centralità operativa e concettuale. Anche perché oggi, distanti dagli esordi di Chuck Close e Richard Estes, il linguaggio iperrealista assorbe le cellule digitali e modifica la pittura in un ibrido, calibrato sulle proiezioni in 3D e 4D, sui sistemi operativi degli smartphone, sui software fotografici di scatto e modifica. La pittura iperrealista si è così trasformata in pittura postdigitale, una sorta di OGM pittorico che ha metabolizzato la fotografia analogica, sedimentando nel suo impasto diverse tracce di futura memoria.
La pittura postdigitale di Yigal Ozeri mette al centro dello sguardo la DONNA…
Eva continua ad alimentare l’estasi dell’arte a due dimensioni. Lei, la Prima Donna del desiderio, la pietra miliare della narrazione, l’archetipo erotico dell’umanità ancora irradia l’ambizione artistica della traccia, del contorno, del segno, del colore… La creazione in generale insegue icone resistenti, cerca i moloch che siano la Stonhenge dell’educazione emotiva. La Donna nuota da sempre al centro del pensiero artistico, guida il documento storico ma anche l’azione rivoluzionaria, il cambiamento, la lotta militante. Raccontare la Donna nel quadro significa agire dall’origine per inquadrare la complessità; significa amare e condividere, usando la lingua del corpo e dello sguardo, della chimica e dell’alchimia; significa nascondere messaggi etici nelle pieghe di un abito, nel riflesso dentro l’occhio, nella postura del viso, negli oggetti indossati…
La Donna come detonatore simbolico per una rinascita sociale, politica, culturale…
Yigal Ozeri (1958) è un autore israeliano che vive e lavora a New York, nella città che meglio di altre regala stimoli al suo immaginario, dentro un perpetuo ritmo fisico che aderisce alle sue intenzioni tematiche. Dalle strade, dai volti, dai corpi in cammino l’artista ricava sensazioni che trasferisce nei suoi shooting con le modelle in posa, quando definisce il portfolio da cui ricaverà le immagini da dipingere. Non pensiate, però, ai vecchi codici della pittura iperrealista, oggi non si catalogano strade, macchine, vetrine o altri feticci del modello americano. La lucida freddezza dei predecessori si tramuta in un occhio caldo, emotivamente coinvolto, alla ricerca di un erotismo fluido, di una giovinezza raffaellita ma anche digitale, di una sensualità senza barriere. Le donne di Ozeri sono detonatori rivoluzionari che agiscono sullo sguardo. Non urlano, non abbracciano armi, non distillano odio ma guardano davanti e in avanti, verso il mondo stravolto, le derive psicotiche, le culture del terrore. Lo fanno dai loro luoghi silenziosi, dai contesti quieti in cui vivono la loro eternità pittorica. Guardano ognuno di noi, colpendo il nostro sguardo, la nostra coscienza civica, agendo a rilascio lento e prolungato, come accade con la Letteratura e la Poesia.
Quello sguardo femminile, così placido e sospeso, ha qualcosa di rivoluzionario…
L’universo di Ozeri si riconnette ad una tradizione occidentale, soprattutto italiana, di ritrattistica al femminile, dai volti virginali nella Firenze del Cinquecento al bianco neoclassico di Antonio Canova, passando per l’Ottocento di Giovanni Boldini, il Novecento di Amedeo Modigliani… Ozeri attraversa le matrici del femminile e le conduce in un’epica urbana, multirazziale, eterogenea. Le sue creature sono le Madonne dei nostri giorni, le Sante di un presente caotico, le gran dame di un oggi virtuale ma non sempre virtuoso. Sono le amazzoni della città visibile, gli sherpa del nostro cammino interiore, le giovani madri dell’umanità che vede il futuro. Sono la risposta alla cultura della violenza, un contrattacco morbido con colpi di bellezza e azioni poetiche. Potete starne certi: il futuro dell’umanità dovrà passare per le traiettorie del sublime, dell’estasi, del desiderio, della bellezza…
Le donne di Ozeri giungono diritte dal presente eppure sembrano fuori dal tempo, oltre lo spazio della creazione, fluttuanti come stelle che attraversano i secoli. I loro sguardi, le loro posture, i loro corpi sono frammenti di un lungo discorso sentimentale, nato con la vita e destinato a durare oltre noi stessi, oltre la contingenza del quotidiano. Le donne di Ozeri simbolizzano un’iconografia resistente, a riprova di una rigenerazione perenne che solo la pittura (e in parte la scultura) rende possibile. Perché queste fanciulle di raggiante sensualità, splendenti negli sguardi, magiche nel modo di porsi, raccontano la resistenza indissolubile del quadro, la capacità di contagiare il futuro con la memoria di un eterno presente. Non sono più semplici modelle ma un modello di bellezza tramandabile, una semantica dell’indissolubile, una traccia dell’infinito immaginato e sognato.
Quelle donne sembrano dirci: “Dove stiamo andando? Cosa stiamo facendo? Come possiamo migliorare le cose?”. Non ci sono risposte nei quadri, ovvio, poiché l’arte si occupa solo delle domande. Al contempo, i loro sguardi ci guidano oltre la soglia, nell’oceano del dubbio, evocando la possibilità di un’isola, di un approdo sicuro per la nostra coscienza. Un luogo in cui chiarire lo sguardo, provando a realizzare una risposta.
L’unica figura maschile in mostra è lo stesso artista, un primo piano in bianconero che scruta come un demiurgo davanti agli allievi. Il volto espressivo e la chioma di capelli hanno l’impatto minuzioso dei ritratti di Bronzino e Rembrandt, quel modo chirurgico di gestire il climax con mirabile drammaturgia. Yigal Ozeri incarna gli occhi delle nostre risposte possibili, somigliando ad una guida che ci osserva mentre la Bellezza rivela le coordinate dell’isola.
La mostra termina domenica 7 ottobre 2018
Info mostra: www.palazzocollicola.it https://www.facebook.com/PALAZZOCOLLICOLA
Contatti Palazzo Collicola: info@palazzocollicola.it
Contatti Sistema Museo: ufficiostampa@sistemamuseo.it
La sezione dell’Archivio di Stato di Spoleto, nell’ambito dell’iniziativa Domeniche di Carta, ospita la mostra documentaria PER NON DIMENTICARE… La Grande Guerra in Valnerina e nello Spoletino.
La mostra, che rimarrà aperta fino al 31 dicembre 2018 per consentire la visita alle scuole e articolata in quattro sezioni (fronte interno, fronte di guerra, monumenti e Caduti), è legata alle celebrazioni del Centenario del conflitto. L’esposizione ha come filo conduttore i documenti dell’archivio storico dei Comuni di Spoleto, Sellano, Norcia e Preci ed evidenzia come la Valnerina e lo Spoletino, seppur lontani dalla linea del fronte, hanno partecipato direttamente al conflitto con l’invio di uomini, mezzi e risorse.
All’interno della mostra sono ricordati i Caduti e i dispersi sui campi di battaglia e sono evidenziate le emergenze sociali che i Comuni si trovarono ad affrontare in quei giorni drammatici: le difficoltà di approvvigionamento alimentare; la crisi economica; l’emergenza dei profughi provenienti dal Trentino e dal Friuli Venezia Giulia dopo la rotta di Caporetto; la presenza di prigionieri austro-ungarici utilizzati per lo svolgimento dei lavori agricoli più pesanti, le sofferenze degli orfani di guerra.
L’allestimento è arricchito dall’esposizione di ‘memorie di famiglia’ di provenienza locale che sono preziose rarità poiché le medaglie al valore, i cimeli, le fotografie, i diari, le lettere consentono di intrecciare le storie individuali con gli eventi nazionali e le vicende socio.economico della Valnerina e di Spoleto nei primi anni del Novecento.
All’organizzazione della mostra ha collaborato anche il consorzio BIM Cascia che attraverso un progetto pluriennale da anni sta cercando di recuperare la memoria storica di questo particolare periodo storico coinvolgendo le famiglie e le scuole del territorio. Il BIM ha creato anche un ‘archivio virtuale’ visibile sul sito www.pernondimenticarelagrandeguerra.it nel quale stanno confluendo le ricerche storiche, le memorie di famiglia, la documentazione delle varie iniziative e le pubblicazioni realizzate in questi anni.
Oltre a ciò, gli eventi del Centenario della Grande Guerra organizzati dalla sezione di Archivio di Stato di Spoleto e dal Consorzio BIM – Cascia, prevedono anche la presentazione di una pubblicazione specifica il 7 dicembre 2018 con la partecipazione di Egildo Spada, presidente del BIM, Luigi Rambotti, direttore dell’Archivio di Stato di Perugia e di altre autorità, docenti universitari ed esperti del Primo conflitto mondiale.
Foto di Edward Quinn
15 dicembre 2018 – 31 marzo 2019
MAG Palazzo Bufalini Piazza Duomo Spoleto
In occasione del quarantacinquesimo anniversario della morte, e in concomitanza a numerose mostre in tutto in mondo a lui dedicate, anche Spoleto celebra il genio dell’artista spagnolo con l’esposizione PICASSO RITRATTO INTIMO Foto di Edward Quinn, presentando una corposa serie di scatti, alcuni inediti, realizzati da Edward Quinn (Dublino 1920 – Svizzera 1997), il fotoreporter che seguì Picasso (1881 – 1973) in Costa Azzurra e lo ritrasse, con il suo permesso, per vent’anni circa.
Dal 15 dicembre 2018 al 31 marzo 2019, presso la sede del MAG MetaMorfosi Art Gallery di Palazzo Bufalini a Piazza Duomo, un’ottantina di foto (due i formati in mostra 40×50 e 30×40 cm) raccontano un Picasso assolutamente privato: fra le sue donne, amanti e amiche, fra i suoi figli, frutto di molte passioni nel corso degli anni, fra i tanti amici e conoscenti che popolavano le sue tele così come le tavolate imbandite e le spiagge davanti al mare. Ben 26 fra queste foto sono inedite e mai stampate prima. Le foto provengono dell’Archivio Quinn, Zurigo, e sono state selezionate dal curatore della mostra, Wolfgang Frei, nipote del fotografo.
La mostra, prodotta e organizzata da MetaMorfosi con il patrocinio del Comune di Spoleto, è il frutto dell’amicizia particolare che legò Picasso a Edward Quinn, come spiega il nipote ricostruendo il loro primo incontro avvenuto in Costa Azzurra: «“Lui, il ne me dérange pas”, (“non mi disturba”) racconta Picasso dopo che il 23 marzo 1953 lo aveva fotografato per la prima volta durante il suo lavoro. Così Quinn divenne uno dei pochi fotografi a cui fu permesso di fotografarlo durante il lavoro e che era accettato nella sua vita privata».
Nato nel 1920, Quinn alla fine degli anni ‘40 si trasferisce a Monaco. Probabilmente non c’è mai stato un luogo come la Costa Azzurra degli anni ‘50 e ‘60 dove così tante stelle, politici e artisti, hanno vissuto o passavano le vacanze. Una delle personalità che si stabilirono in Costa Azzurra fu Picasso: già da allora era una star. Quinn riuscì nel ‘51 a scattare le sue prime foto di Picasso con i due figli. Le foto piacquero all’artista che acconsentì alla richiesta di ulteriori scatti. Due anni dopo si svolse il primo servizio fotografico con Picasso che lavorava la ceramica. Quinn non apparteneva alla razza dei paparazzi insistenti, come i fotografi delle celebrità della stampa scandalistica. In questo era troppo un gentleman irlandese. Divenne presto amico di Picasso, come mostra la dedica del 1954 sulla linoleografia “Toros en Vallauris”: “Para el amigo Quinn – el buen fotógrafo”.
«Anche se Quinn – racconta ancora Frei – era un caro amico non era quasi mai possibile fissare con lui per tempo un appuntamento. Spesso Picasso dava l’ordine di non essere disturbato. Quasi tutte le visite erano impreviste e improvvisate. Questo però era in linea col modo di lavorare di Quinn: i suoi scatti non avevano infatti bisogno di lunghi preparativi tecnici. Non faceva uso del treppiede e si rifiutava di illuminare artificialmente gli ambienti e far posare Picasso. L’obiettivo era quello di mostrare in quali condizioni l’artista creava le sue opere».
L’obiettivo era la foto non convenzionale, credibile, autentica, documentaria. Le fotografie in mostra, molte delle quali non sono mai state pubblicate, rivelano come l’artista si sia ispirato dalle cose e alle persone di tutti i giorni, ma anche a quelle straordinarie che lo circondano. In questa visione della personalità, delle persone dietro le immagini, diventano visibili anche clichés sulla realtà e sugli opposti: il tempo libero accanto al lavoro, il quotidiano in relazione all’arte, il Casanova e l’uomo di famiglia, il clown e il jolly estroverso, ma anche il maestro molto attento.
Un affascinante ritratto intimo dell’artista che copre un periodo di oltre 20 anni e che racconta un Picasso insolito, autentico e ricco di umanità.
Una selezione di immagini in mostra si può scaricare dal seguente link:
https://tinyurl.com/Picasso-Spoleto
PICASSO. RITRATTO INTIMO Foto di Edward Quinn
15 dicembre 2018 – 31 marzo 2019
MAG Palazzo Bufalini Piazza Duomo Spoleto
ORARI:
martedì/domenica 10.00 18.30
25 dicembre: 10.00 12.30 – 15.30/18.30
31 dicembre: 10.00 18.30
1 gennaio: 12.30 18.30
INGRESSO: intero 5.00 € ridotto 3.00 €
INFORMAZIONI: 0743 225302
Ufficio Stampa MetaMorfosi
Maria Grazia Filippi
mariagraziafilippi@associazionemetamorfosi.com
333.2075323
Museo Nazionale del Ducato (Spoleto) e Tempietto del Clitunno (Campello sul Clitunno)
Il riuso consapevole dell’antico in area spoletina in età longobarda
A cura dell’Associazione Italia Langobardorum e del Polo Museale dell’Umbria
Inaugurazione: martedì 18 dicembre alle ore 12.00 al Tempietto del Clitunno e alle ore 15.00 al Museo Nazionale del Ducato di Spoleto
Il rispetto e l’emulazione dell’antico, molto diffusi in periodo longobardo, si pongono come uno dei fenomeni più evidenti di quel processo di acculturazione e integrazione, strumentale all’affermazione dei longobardi. È lungo la Flaminia Nova, nel tratto tra Spoleto e Campello, che si concentrano numerosi monumenti che testimoniano il reimpiego di materiali antichi in costruzioni di età alto medievale e Romanica, molti dei quali sorti in prossimità di aree cimiteriali extraurbane.
La mostra fa parte del ciclo di appuntamenti dal titolo Longobardi in vetrina, modulo del ricco panorama di attività promosse dall’Associazione Italia Langobardorum – struttura di gestione del sito UNESCO I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d.C.) di cui i Comuni di Spoleto e di Campello sono soci fondatori – per la diffusione della conoscenza della cultura longobarda.
A corredo delle mostre sono previste attività didattico-formative e conferenze che prefigurano questo progetto come la prima grande mostra diffusa a livello nazionale dedicata al popolo longobardo, la più grande per estensione e coinvolgimento di istituzioni e di patrimonio archeologico. Le 15 mostre si inaugureranno tutte entro il mese di gennaio 2018 e saranno raccolte in un catalogo unico cartaceo ed in un’unica esposizione virtuale realizzata con MOVIO, la piattaforma multifunzionale open source promossa dal MiBAC, e utilizzata per realizzare e pubblicare guide espositive, estensioni digitali di mostre reali e virtuali.
www.longobardinvetrina.it
Longobardi in vetrina è parte del progetto Scambi e condivisioni tra musei per valorizzare il patrimonio longobardo per il quale l’Associazione ha ottenuto dal MiBACT il riconoscimento della sua validità e l’ammissione a finanziamento a valere della Legge 77/2006 ‘Misure di tutela e fruizione a favore dei siti UNESCO’.
Produzione artigianale e tecniche di lavorazione in età longobarda
24 gennaio – 21 Luglio 2019
Museo del Ducato di Spoleto | MuCiv – MAME di Roma
inaugurazioni
Giovedì 24 gennaio ore 16 – Spoleto
Martedì 29 Gennaio ore 11.30 – Roma
Ben 15 sono le mostre realizzate contemporaneamente e 7 i temi trattati con il progetto Longobardi in vetrina. Scambi e condivisioni tra musei per valorizzare il patrimonio longobardo, realizzato e coordinato dall’Associazione Italia Langobardorum, struttura di gestione del sito UNESCO Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d. C.).
Un progetto ambizioso che gode del patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali ed ha ottenuto il contributo della Legge MIBAC 77/2006, dedicata ai siti UNESCO italiani.
Il progetto propone la diffusione della conoscenza della cultura longobarda attraverso la valorizzazione delle realtà museali presenti nei sette singoli complessi monumentali, parte integrante del sito UNESCO, ma anche di quelli espressione dei territori coinvolti dal passaggio dei Longobardi. La collaborazione e la sinergia tra i musei sono favorite da scambi temporanei di reperti, articolati in esposizioni tematiche, tra i 6 musei della rete del sito UNESCO (Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli, l’antiquarium di Castelseprio, il Museo di Santa Giulia di Brescia, il Museo Nazionale del Ducato di Spoleto, il museo Diocesano di Benevento, i Musei TECUM di Monte Sant’Angelo) il tempietto di Campello sul Clitunno, ed altri otto musei presenti sul territorio nazionale.
Gli scambi tra i musei, le mostre temporanee e le attività culturali di supporto sono potenziate anche da una mostra virtuale online realizzata con MOVIO (www.longobardinvetrina.it) e da un catalogo unico, caratterizzando questo progetto come la prima mostra diffusa a livello nazionale, intesa come insieme di mostre sulla cultura Longobarda; la più grande per estensione territoriale e coinvolgimento di istituzioni e di patrimonio storico-archeologico.
Spoleto ha approfondito il tema de L’intelligenza nelle mani. Produzione artigianale e tecniche di lavorazione in età longobarda.
Protagonisti, oltre al Comune di Spoleto, il Museo del Ducato di Spoleto e il MuCiv – MAME di Roma che grazie allo scambio di reperti hanno realizzato due mostre.
Attraverso queste due esposizioni vengono illustrati i saperi tecnici-produttivi dei Longobardi in Italia e individuati i processi che portarono questo popolo a integrare il loro patrimonio tecnico, tipico delle popolazioni germaniche, con quello romano-bizantino di matrice mediterranea, in un periodo di passaggio tra il periodo tardo antico e l’alto medioevo.
I Longobardi ebbero una particolare “vocazione siderurgica e metallurgica” in linea con l’alto livello tecnologico dei processi produttivi del resto del mondo germanico, distinguendosi nella realizzazione di gioielli, armi e utensili.
Per illustrare le loro abilità artigianali sono stati perlopiù selezionati oggetti in metallo provenienti dalle necropoli di Nocera Umbra (PG) e Castel Trosino (AP), realizzati utilizzando tecniche diverse: fusione a stampo, cloisonné, punzonatura, filigrana, agemina, e niello.
Non manca infine un breve accenno alla produzione ceramica che presenta caratteristiche proprie ben individuabili.
Giovedì 24 gennaio alle 16 inaugura la mostra di Spoleto e il 29 gennaio alle 11.30 quella di Roma.
Per scoprire tutte le date: www.longobardinitalia.itt
presenta
EKATERINA VORONA – DREAMSCAPE
a cura di Gianluca Marziani
La prima inaugurazione della doppia mostra di EKATERINA VORONA è prevista GIOVEDI’ 14 FEBBRAIO alle ore 18:30 a Roma presso 28 PIAZZA DI PIETRA, la seconda SABATO 30 MARZO alle ore 12:00 a Spoleto presso PALAZZO COLLICOLA ARTI VISIVE. Le due mostre vedono la cura di Gianluca Marziani e sono state realizzate in collaborazione con Francesca Anfosso e Anna Vyazemsteva.
Continua l’osservatorio internazionale di Palazzo Collicola Arti Visive: una ricerca strategica tra culture e identità geografiche per definire un close-up ad ampio raggio sulla pittura contemporanea. Il 2019 vedrà un focus su alcuni autori russi. Si parte in primavera con la moscovita Ekaterina Vorona, artista che presenta il risultato degli ultimi cinque anni di produzione. Un limpido distillato figurativo sul paesaggio acquatico, una visione omogenea che metabolizza le ricerche europee di fine Ottocento con silenziosi ma significativi spostamenti concettuali.
Le avanguardie storiche restano materia d’indagine tra chi si cimenta sul paesaggio, genere per eccellenza (assieme al ritratto) della pittura, talmente longevo da ricondurci indietro fino ai disegni rupestri, quando le caverne erano la superficie battesimale per scene di caccia e frangenti ludici. Nel paesaggio si esplica il dialogo tra Uomo e Natura, l’ambizione alla scoperta e alla conquista, la genesi di ogni civiltà comunitaria. Lo sguardo pittorico, factotum di utili veggenze, ha spesso usato il paesaggio per una versione utopica o alternativa al presente, con lo spunto della promessa (eden) o il codice di un’allerta (distruzione). La versione odierna del paesaggio metafisico implica nuovi quesiti tra gli artisti: come rinnovarne l’identità, cosa mantenere e riusare del passato, in che modo integrare alla citazione un presente complesso. La pittura si pone il dilemma delle fondamenta resistenti, degli archetipi che diano permanenza alla forma ideale in un tempo liquido come il nostro. Gli artisti inseguono un paesaggio che unisca lo spessore delle avanguardie alle vesti del proprio habitat, creando lo specchio prismatico di un’esperienza privata ma condivisibile, poliglotta ed empatica, slegata ai vincoli di spazio e tempo.
Artisti come Ekaterina Vorona agiscono nel solco delle avanguardie acquisite, dei valori linguistici che la Storia ha reso imprescindibili. La memoria, sia chiaro, rimane solo nelle radici perimetrali, altrimenti si cadrebbe nel manierismo a specchio, nella citazione che assorbe ma non rielabora. L’approccio contemporaneo riempie quel perimetro (la memoria) con superfici specifiche, regolate sulla temperatura meticcia di un tempo tecnologico. I nuovi paesaggi si trasformano nei luoghi mentali che conservano la conoscenza dentro un futuro flessibile, usando la grammatica della citazione per una sintassi con nuove tramature. Claude Monet è la filiazione che racchiude gli intenti e le conseguenze del progetto: la luce e il colore come variabili emotive, le atmosfere come attivatore sentimentale, la pazienza come ritmo circadiano. La Vorona si inoltra fisicamente nel paesaggio in esterni, lo vive con metodo e lenta fusione, ritrovando sul quadro la forza degli immensi paesaggi russi, la potenza delle stagioni, il vigore della trasformazione stagionale. Al contempo, l’immersione fisica è il tramite per un viaggio dai contorni sciamanici, difficile da spiegare a parole, un tuffo oltre le contingenze del quotidiano, in silente sintonia con gli sguardi di Monet verso le ninfee di Giverny.
Paesaggi d’acqua che giungono da un lento processo metabolico, da una paziente osservazione di mari, laghi, fiumi, sorgenti, ruscelli e qualsiasi altra fonte liquida. L’artista recupera un integro legame col mondo naturale, una sorta di nuova coscienza degli elementi incontaminati, dei luoghi che mantengono un database del tempo arcaico. I suoi spazi sono silenziosi frammenti di un pianeta a rischio, ambienti che esprimono la bellezza dei paradisi perduti e l’incoscienza della semplicità senza tecnologia. La Vorona si muove nel solco cinematografico di Terrence Malick, nel culto laico di un paesaggio mistico che avvolge il pensiero poetico. E’ come se Monet si fondesse con le panoramiche aeree di Malick, come se gli studi del francese sulle variazioni luminose si espandessero nella luce digitale del presente.
Gorghi, onde, riverberi, riflessi, scie, flussi… i quadri sospendono lo scandire del tempo e ci catapultano in un battito metafisico, nella natura luminosa delle avvolgenti visioni mentali. Lo sguardo esce dalle prospettive dei luoghi specifici, scivolando nel silenzio della meditazione, nel suono acustico degli elementi naturali, nel recupero di una primordialità sempre più urgente. Una pittura che ragiona sulla complessità della luce, sul tema spirituale della vibrazione luministica, sul potere meditativo che hanno le scale tonali sui nostri sensi. Un viaggio fuori dal tempo urbano, fuori dal ritmo frenetico del progresso: per ridestare l’attenzione sul rumore interno degli elementi naturali; per ridare al quadro un costrutto emozionale; per regolare le ricerche impressioniste sul valore tecnologico del presente.
28 PIAZZA DI PIETRA
La galleria di Francesca Anfosso anticipa la mostra museale a Spoleto, ricreando un perfetto prologo che avrà il suo culmine nelle sale bianche di Palazzo Collicola Arti Visive. I due piani della galleria tracciano le linee portanti del progetto, distribuendo le opere di piccolo e medio formato sui muri dello spazio. Circa 15 lavori che toccano i nodi salienti di una ricerca raffinata e sorprendente.
PALAZZO COLLICOLA ARTI VISIVE
Saranno una quarantina, tutte di grande formato, le opere selezionate dal curatore Gianluca Marziani. Una scelta omogenea che entra nel cuore ambizioso della pittura di Ekaterina Vorona, facendo brillare i colori sulle imponenti pareti del museo. Una produzione legata agli ultimi cinque anni di ricerca, interamente documentata nel catalogo, edito da Carlo Cambi e corredato da un’analisi critica dello stesso curatore.
PALAZZO COLLICOLA ARTI VISIVE
Piazza Collicola, 1 Spoleto
www.palazzocollicola.eu
https://www.facebook.com/PALAZZOCOLLICOLA
Contatti Palazzo Collicola: info@palazzocollicola.it
Contatti Sistema Museo: ufficiostampa@sistemamuseo.it
La mostra termina domenica 26 maggio 2019
a cura di Marco Tonelli e Bruno Corà
Palazzo Collicola
A distanza di quasi venticinque anni, Gianni Asdrubali (Tuscania, 1955) torna protagonista a Spoleto con un’esposizione personale, che fa il punto sul lavoro di uno dei pittori più interessanti del panorama italiano contemporaneo, il quale fin dagli anni Ottanta si è imposto sulla scena nazionale e internazionale come un innovatore della ricerca astratta, aniconica e gestuale.
La mostra, curata da Marco Tonelli (Direttore di Palazzo Collicola) e Bruno Corà (Presidente della Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri e membro del Comitato scientifico di Palazzo Collicola), è una retrospettiva della sua opera attraverso i cicli di dipinti più rappresentativi e dagli enigmatici quanto suggestivi titoli quali Aggroblanda, Trigombo, Malumazac, Zeimekke, Azota, Stoide, Azotrumbo, Tromboloide.
Programmata per il 21 marzo e sospesa in seguito all’emergenza Covid-19 e alla chiusura dei musei, l’esposizione annuncia in modo vibrante la riapertura di Palazzo Collicola e delle sue attività, pur se con molte modifiche della programmazione a causa della pandemia.
Surfing with the Alien (titolo di uno dei brani più celebri del virtuoso e geniale chitarrista statunitense Joe Satriani), vuole comunicare l’equilibrio instabile, i salti vertiginosi e le acrobazie nel vuoto di una pittura dinamica che sembra fluttuare nelle dimensioni dello spazio generando nuove trame e sorprendenti traiettorie.
Come ha scritto a proposito lo stesso artista:“Il surfing è l’azione generata dall’assenza. Ma questo surfing non è liscio ma a contrasto, è urtante, è un fuggire, andare via, per poi ritornare e sbattere nel suo stesso inizio, ma ogni volta che ritorna e urta su se stesso deforma e apre la struttura, trasformando la ‘figura’ dell’immagine, che non è mai la stessa. L’interazione è la figura di questa lotta di questo contrasto tra il surfing e l’alieno”.
Immagine estrema quella di Asdrubali, un artista che il critico Filiberto Menna inserì nel gruppo dell’Astrazione povera, Flavio Caroli in quello del Magico primario e che Giovanni Carandente invitò alla Biennale di Venezia nel 1988.
A Palazzo Collicola, la mostra si snoda lungo le stanze del Piano terra, dove una volta era ospitata la collezione permanente della Galleria d’Arte Moderna (dal 2019 riallestita al secondo piano del museo), la quale possiede due opere di Asdrubali, tra cui uno spettacolare Tromboloide del 1992. Proprio su questa opera è stato realizzato un progetto interattivo, ZUMBER, dal gruppo di ricerca ORAMIDE, fruibile prossimamente sul sito del museo http://www.palazzocollicola.it
L’esposizione sarà aperta al pubblico dal 27 giugno al 13 settembre 2020 ed è stata realizzata con la collaborazione della Galleria Giraldi, della Galleria A Arte Invernizzi, della Galleria Matteo Lampertico, della Galleria Consorti. Nel corso della mostra uscirà un catalogo con testi di Marco Tonelli, Bruno Corà e un’intervista all’artista di Davide Silvioli.
Orario di apertura:
giugno e luglio: ven-dom 10.30-13.00 / 15.30-19,00
agosto-settembre: gio 15.30-18.30 | ven-dom 10.30-13.00 / 15.30-19,00